mercoledì 28 settembre 2016

EVENTI OTTOBRE 2016

Segnalo:

- Mostra "Tempo di lupi" a Bergamo, visitabile dal 3 Ottobre 2016 presso l’ex Chiesa della Maddalena (Città Bassa).

- Venerdì 14 inaugura presso il Museo di Storia Naturale di Chies D'Alpago (BL) “Presenze Silenziose”, la mostra che il Club Alpino Italiano dedica ai grandi carnivori delle Alpi.

martedì 27 settembre 2016

Subito nuove misure per contrastare i lupi

da L’Arena 13.09.2016

Non sono piaciute le dichiarazioni dell’assessore all’Agricoltura e Caccia Giuseppe Pan sui lupi, all’Associazione tutela della Lessinia, che da anni si batte per la difesa di allevatori e proprietari terrieri dal predatore. «Pur condividendo che a esporre carcasse predate in piazza non si dovrebbe arrivare, occorre prendere atto che dalla Regione sono arrivate risposte pratiche solo per gli indennizzi, che come abbiamo detto più volte, rappresentano solo un palliativo al problema», scrivono i rappresentanti dell’associazione.
Denunciano: «I danni si stanno scaricando, sotto forma di costi non sopportabili in un periodo di crisi come questo, sugli allevatori e sui proprietari terrieri, che vedono intaccati i propri diritti costituzionali, per cui risulta inevitabile che si arrivi a gesti esasperati».
«Abbiamo partecipato in maniera costruttiva ai tavoli tecnici istituiti dall’assessore, dimostrando come i sistemi di prevenzione disponibili non siano economicamente sostenibili, quando sono tecnicamente applicabili, e che il progetto Life WolfAlps è inadeguato, sotto il profilo tecnico e finanziario, ad affrontare un problema di queste dimensioni. Perciò la task force, che l’assessore cita, potrà fare poco o nulla se non limitarsi a proporre soluzioni a caso, tanto per compiacere l’ente finanziatore europeo». Dopo le critiche, le proposte. Tre quelle che l’Associazione rivolge all’assessore Pan: «Non si ricopra di ridicolo proclamando come un successo l’attività di prevenzione fatta in qualche malga, dato che, per il momento, tutta l’area circostante agli alpeggi in cui sono stati installati i sistemi di dissuasione è esente da attacchi. Attacchi che si sono spostati di 8-10 km in linea d’aria rispetto alla zona più sottoposta agli sbranamenti, concentrandosi nella zona di Campofontana». Secondo allevatori e proprietari terrieri «lo spostamento dei lupi non è di certo dovuto all’installazione di qualche dissuasore acustico o recinzione elettrificata».
La seconda proposta è di proseguire con la revisione normativa: «Serve ritrovare l’ equilibrio tra la tutela del predatore, che non può più essere assoluta, e la tutela delle attività economiche di montagna, in una valutazione economica che tenga conto delle possibilità, oggi molto scarse rispetto alle necessità, di finanziamento dei danni e delle attività di prevenzione».
Terza proposta: «Si metta mano subito alle nuove misure del Piano di sviluppo rurale, nello specifico le misure relative all’agroambiente, caratterizzate da vincoli senza senso, e relative ai bandi forestali, che impongono una scorretta distribuzione dei finanziamenti all’interno della Regione». Quindi la mano tesa: «A disposizione di chiunque dimostri la buona volontà di risolvere i problemi del nostro territorio».

di Vittorio Zambaldo

lunedì 26 settembre 2016

KONRAD LORENZ

Devo tuttavia confessare che, nel mio sentimentalismo, sono profondamente commosso e ammirato di fronte a quel lupo che non può azzannare la gola dell'avversario, e ancor di più di fronte all'altro animale, che conta proprio su questa sua reazione! Un animale che affida la propria vita alla correttezza cavalleresca di un altro animale! C'è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso, e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: "Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra...". L'illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo devi offrire al nemico l'altra guancia, no, devi offrirgliela proprio per impedirgli di dartelo!

KONRAD LORENZ

La vicina Lombardia ci sia di esempio

16 allevatori lombardi e 18 tecnici di Province, Parchi e Comunità Montane della Lombardia a confronto con 6 allevatori che lavorano nel territorio del Parco Alpi Cozie, dove la presenza del lupo è stabile. Il 19 e il 20 settembre sono stati due giorni di visite in alpeggio per discutere con gli allevatori del territorio piemontese di gestione del bestiame e dell’utilizzo dei diversi sistemi di prevenzione. Tra gli allevatori della Lombardia c’è chi affronta per la prima volta il tema dei grandi predatori, c’è chi ha adottato i sistemi di prevenzione quando l’orso ha fatto la sua ricomparsa sulle Orobie e ora li utilizza saltuariamente, ma è pronto ad utilizzarli ancora, qualora la presenza del lupo diventasse stabile. O ancora chi ha adottato i sistemi di prevenzione in seguito ad alcune predazioni da parte dell’orso e non tornerebbe più indietro, perché grazie alle recinzioni è diventato più facile gestire il gregge.
Tra i piemontesi vi è la testimonianza diretta di Fulvio Benedetto, che con il suo gregge di 1400 pecore ha affrontato il ritorno del lupo e dopo le predazioni ha ora con sé recinti elettrificati e cani da protezione che difendono le sue pecore. Vi sono i fratelli Canton, che con allevamento misto ovino e bovino continuano ad avere danni e predazioni. Qualche allevatore già si conosceva personalmente, e tra i temi trattati è emersa l’importanza della informazione (e formazione) ai turisti e agli escursionisti, affinchè siano consapevoli e rispettosi del lavoro degli alpeggiatori e informati su come comportarsi vicino a un gregge e ai cani da protezione.
Il lupo è una presenza con cui in Piemonte molti allevatori professionisti hanno cominciato a convivere. I lombardi presenti si dicono pronti ad affrontare questa sfida.

giovedì 22 settembre 2016

Si premiava chi portava una testa di lupo

da L’Arena 20.09.2016

«L’han capito già nell’ 800. Si premiava chi portava una testa di lupo.»

Ignazio Scapin


Ha fama di essere il Re Mida delle situazioni difficili e a lui, l’ottuagenario Ignazio Scapin di Bonavigo, si sono rivolti in questo periodo gli allevatori della Lessinia nella speranza di risolvere il nodo «lupi».

Scapin è imprenditore agricolo e commerciante cofondatore di Azove (Consorzio cooperativo che si occupa di commercio, assistenza alimentare, veterinaria e finanziaria agli allevatori di carne bovina) e membro di Unicarve, l’associazione degli allevatori di bovini da carne del Triveneto. Ha saputo dare un’imrponta imprenditoriale alle due realtà.

«Sono sempre andato ad aiutare chi era nel bisogno», dice di sé, ricordando i precedenti in parrocchia come catechista, giocatore di calcio, ping pong e soprattutto di dama. «A dama poi», rivela, «non ho mai perso una partita perché ho sempre studiato l’avversario e ho saputo cambiar gioco a seconda di chi avevo di fronte».
Quella con il lupo è una partita difficile e Scapin assicura di averla studiata a fondo e di avere la soluzione: «Ogni bestia in meno in azienda è un calo di stipendio per la famiglia, ma noi siamo bravi a pretendere lo stipendio a fine mese e non pensiamo alle fonti di ricchezza che distruggiamo. Ci vuol poco a capire che la produzione di bestiame e la disponibilità di carne sono aumentate nel momento in cui, dall’inizio dell’Ottocento, gli amministratori hanno cominciato a premiare chi portava una testa di lupo abbattuto. Così bisognerebbe fare anche oggi».
Inoltre secondo Scapin non si deve cedere alle emozioni, «perché sull’onda emotiva si fanno solo delle gran baruffe e lo Stato non può farsi sostituire dalle emozioni».
«Questo pasticcio del lupo è successo», sottolinea, «perché alla politica è mancato il pugno di ferro».
E denuncia: «I contributi europei e regionali destinati a risarcire gli allevatori in realtà sono ricavati da quelle stesse tasse che danneggiano imprese e famiglie. Quelle stesse realtà che a loro volta sono danneggiate dalle predazioni e di conseguenza risarcite con i loro stessi soldi pagati in tasse: così si difendono i lupi, non l’uomo».
«È una cultura comunista che va contro le aziende e i lavoratori autonomi», conclude Ignazio Scapin, da uomo che non si definisce di destra, ma piuttosto cristiano- sociale.V.Z.»


lunedì 19 settembre 2016

Farley Mowat, Never Cry Wolf, 1963

Abbiamo condannato il lupo non per quello che è, ma per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse – l’epitome mitizzata di un selvaggio e spietato assassino − che è, in realtà, nient'altro che l’immagine riflessa di noi stessi.

Farley Mowat, Never Cry Wolf, 1963

Intervista a Francesca Marocco

Intervista a Francesca Marocco - di Elisabetta Corrà, su La Stampa, 2014

Francesca Marucco racconta i suoi venti anni di convivenza con i lupi con allegria e umiltà. Ma la sua storia professionale è prestigiosa: Francesca è la più esperta zoologa italiana di lupi, ha vissuto 8 anni negli Stati Uniti, con una robusta esperienza di ricerche sul campo in Montana, dove oggi è docente affiliata presso l’Università. Insegna però anche nell’ateneo di Torino, perché è piemontese doc e l’Italia deve a lei la coordinazione del Progetto Lupo Piemonte che ha consolidato il ritorno di questo predatore sull’arco alpino. Nel 1983 i lupi in Italia erano 200: la stima del 2012 è di 800 esemplari. Grazie alla normale dispersione tipica della specie, dalla fine degli anni ’90 i lupi sono apparsi in Valle Pesio (CN), Valle Stura (CN) e Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand (TO).  

Oggi Francesca presiede il LIFE WOLFALPS, il programma di monitoraggio dei lupi sulle montagne italiane nel più ampio quadro delle normative europee. Allieva del “grande” Luigi Boitani, il padre della conservazione dei carnivori in Italia, Francesca ha scritto per le edizioni Il Piviere un libro suggestivo: Il lupo. Biologia e gestione sulle Alpi e in Europa (2014), un tracking scientificamente rigoroso e anche ispirato - con splendide fotografie - nel silenzio delle foreste e dei boschi dove vivono, cacciano e si riproducono i lupi. Perché Canis lupus è l’animale simbolo del confine frastagliato e sempre contraddittorio tra l’umano e il selvaggio, tra Natura e Cultura. 

Il tuo è un libro specialistico e però molto accessibile, ricco di consigli pratici per chi vuole saperne di più e magari si avventura in montagna sognando l’incontro con questo animale unico.

Il mio intento era riuscire a far capire cosa è il lupo a varie tipologie di persone, che ne sono appassionate pur non conoscendolo come specie: ambientalisti, cacciatori, allevatori, escursionisti. Però ho voluto anche dare il mio contributo allo sviluppo di una “cultura del selvatico” qui in Italia. In Nord America gli animali selvaggi sono vissuti come specie da apprezzare, ma a distanza. Da noi, in zone molto antropizzate, abbiamo l’idea del lupo come peluche o del predatore da eliminare. Questo è un momento in cui si parla molto del terrore per il lupo, ma il lupo nei nostri boschi si è reinsediato da decenni senza nessun attacco documentato alle persone. E se poi pensi al numero dei visitatori delle montagne, l’evidenza statistica della sua non pericolosità è chiara. Il lupo, poi, è molto difficile da vedere, anche per lo sguardo esperto di un biologo. Si tiene alla larga il più possibile da noi umani. 

Tu spieghi che tutte le popolazioni di grandi carnivori sono transfrontaliere. Perché quello che sta accadendo in Veneto è cruciale per il destino dei lupi italiani?  

In Veneto come in Piemonte purtroppo è passato un messaggio fuorviante. La gente dice, il lupo mi è passato davanti alla porta di casa. Capisco che possa fare effetto, ma se conosci la specie sai che non devi temerlo. La ricolonizzazione naturale delle Alpi occidentali è il frutto dell’espansione della popolazione di lupi presente nell’Appennino; tra queste due zone c’è un corridoio ecologico costituito dall’Appennino ligure lungo cui i lupi si spostano, mantenendo aperta la possibilità di incroci genetici. Ma ancora più importante è la nuova connessione tra i lupi delle Alpi occidentali e la popolazione dinarica della Slovenia, documentata con due coppie riproduttive in Veneto e anche in Friuli. Si tratta di una occasione irripetibile di arricchimento genetico per il lupo italiano, la riunificazione di due subpopolazioni è un avvenimento che non si verificava da 150 anni. In Veneto assistiamo ad un fenomeno sostanziale per migliorare la eterozigosità totale della specie, cioè la sua diversità genetica. Senza contare che il ritorno del lupo testimonia la riqualificazione ecologica delle Alpi. 

Ma il lupo è un simbolo, rappresenta la parte non domesticata della natura umana. È per questo che lo amiamo e odiamo in egual misura? Uno dei tuoi maestri, Luigi Boitani, sostiene che per descrivere l’uomo si usano le stesse parole che funzionano per il lupo.   

Da un punto di vista culturale, il lupo è il complesso di istinti ferini che non riusciamo mai a dominare completamente. Suscita sempre una opinione, non lascia mai indifferenti. Il lupo spesso diventa anche l’incarnazione di cambiamenti sociali ed economici traumatici, ad esempio l’abbandono della campagna e di conseguenza il rinselvatichimento. In Italia, e in Piemonte, sui lupi si sono concentrate le angosce di un mondo in transizione. Il nostro stile di vita è sempre più dipendente da supporti tecnologici che mediano il rapporto con la realtà e fanno perdere il contatto con il selvatico. Ormai lo immaginiamo come nei cartoni animati. E poi la domesticazione del lupo, che ha portato al cane, ne ha fatto una specie molto vicina, forse troppo vicina a noi. Il lupo ha una vera famiglia, non è un solitario come la lince. I giovani vanno in dispersione, come i ragazzi che escono di casa a venti o trenta anni. Si va a formare un nuovo branco! 

Nel libro dici che in tempi di crisi economica diminuisce la tolleranza per i carnivori. Un black out nell’intendere la ferocia e la competizione?

Ho cominciato a lavorare in Piemonte nel 2000; nei primi dieci anni il clima era buono per il lupo, nonostante la sua popolazione stesse crescendo. Poi negli ultimi 3 o 4 anni, ho assistito ad un cambiamento di atteggiamento. La causa è la strumentalizzazione politica del lupo, usato come icona di alcune categorie sociali in cerca di rappresentanza. I mezzi di informazione, da parte loro, si sono concentrati sugli attacchi dei predatori. Perciò è fondamentale produrre dati scientifici solidi su cui costruire programmi gestionali basati sulla logica, non sull’emotività. In Piemonte è appena partita nell’ambito del programma LIFE WOLFALPS una analisi di “human dimension”, cioè una indagine per capire come il lupo sia vissuto dalla gente e dalle categorie economiche interessate dalla sua presenza. L’ultima ricerca di questo tipo risaliva al 2002. 

Tu scrivi che la tendenza dell’uomo è di eliminare ogni paura, ma che “il timore che suscita un bosco di notte è da preservare perché é il fascino della natura intatta”. Gli americani la chiamano wilderness. Abbiamo bisogno della wilderness e del lupo per crescere nella nostra coscienza ecologica? Il tuo advisor in Montana, Dan Pletscher, ti disse che la frontiera ce l’abbiamo noi sulle Alpi, che cosa intendeva?

Pletscher è una persona illuminante, è lui che mi ha insegnato a guardare la big picture, il contesto in cui vive una specie. Certo, qui in Italia e in Europa non abbiamo più gli spazi del Nord America, sicuramente però possiamo avere il lupo e i carnivori in ecosistemi ancora funzionanti. Quando Dan mi ha detto - in uno Stato che è poco più esteso dell’Italia con all’epoca, però, solo 800mila abitanti - in Montana non c’è più posto per il lupo, io gli ho risposto, ma stai scherzando ! L’ho invitato in Piemonte e negli anni a venire abbiamo scritto insieme su riviste scientifiche di come le Alpi siano davvero la frontiera, perché stiamo spingendo gli animali selvatici a vivere al limite, in ciò che è rimasto dei loro habitat divorati dalla nostra avanzata. Eppure il lupo ha risposto in modo imprevisto alla pressione antropica. Quando in Nord America si fanno le Analisi di selezione dell’habitat sul lupo, per capire le zone selezionate per la riproduzione e la predazione, le aree in quota non vengono neppure inserite nei modelli, perché i lupi scelgono sempre i fondovalle. Lo stesso lavoro sulle Alpi dà esiti completamente diversi. I lupi italiani preferiscono l’alta montagna, pur di evitare paesi e strade, non hanno nessun problema a salire ai tremila metri: i siti di rendez vous, dove si trovano le tane con i cuccioli, sono a misura di camoscio, quanto ad altezza e difficoltà di accesso. Le Alpi sono quindi un insostituibile laboratorio sul futuro, per capire fino a che punto possiamo convivere con i carnivori. Dobbiamo però mantenere anche delle zone dove la natura fa il suo corso. Rinunciare ai lupi e agli spazi selvaggi sarebbe una catastrofe non solo per il Pianeta, ma per noi uomini. Lo dico in senso antropologico e culturale. 

E la Val di Susa è una “sink” di questo laboratorio, come dite voi biologi “un inghiottitoio di lupi”. I lupi ci stanno benissimo, ma i numeri sulle perdite tra incidenti stradali e bracconaggio sono inquietanti.

In Val di Susa abbiamo 2 branchi. In 12 anni sono stati ritrovati 17 lupi morti per investimento sia di treno che di auto; la gente pensa che se ne sono morti 4 - è il caso dei cuccioli travolti tutti insieme nell’ultimo incidente della valle - allora vuol dire che ce ne sono 2000. Niente di più sbagliato: in Italia ogni branco conta 4-5 individui. Il danno è enorme. Bisognerebbe anche interrogarsi sul pericolo che corrono gli automobilisti, quando si scontrano con lupi, e anche caprioli e cervi, che attraversano le strade asfaltate. Il fatto è che una soluzione sperimentata ci sarebbe, e cioè costruire i “green bridges”, sovrappassi che consentono ai carnivori di muoversi nel loro territorio senza passare per autostrade e viadotti, ponti che riducono la frammentazione degli habitat. La Croazia li ha messi dappertutto e funziona. Quando ci son state le Olimpiadi di Torino abbiamo pensato che gli investimenti in infrastrutture fossero una occasione per costruirne anche in Val di Susa, ma non è stato così.  

Dal Trentino al Veneto assistiamo ad un confronto tra uomini e predatori sempre più radicale. Che cosa significa gestire i lupi su scala biologicamente realistica? 

I piani di gestione faunistica devono essere integrati con i dati di presenza del predatore. L’Italia ha aderito alla Convenzione di Berna e alla Direttiva Habitat dell’Unione Europea e questo significa che il nostro Paese ha abbracciato il ragionamento sotteso a questi strumenti normativi: l’areale attuale dei lupi è una soglia minima sotto cui non si può scendere, ma è altamente auspicabile per la sopravvivenza della specie che questo spazio possa espandersi e che aumenti la connettività tra le popolazioni esistenti. Insomma, il range potenziale del lupo è più ampio di quello attualmente occupato e costituisce un valore ecologico in sé che, in prospettiva, deve essere salvaguardato anche sulla base di scelte politiche di conservazione. Una gestione efficace dei lupi in Italia deve adattarsi continuamente ai cambiamenti socio-economici, non può essere statica, e deve fondarsi su parametri di popolazione e distribuzione monitorati con continuità. Bisogna sempre tener presente che questi animali non sono gestibili all’interno di aree predefinite: un lupo va dove vuole, ha un territorio di almeno 250 Kmq. Tutto necessita di compromessi. Quando si arriva alla decisione, ci si trova per forza di cose ad un tavolo in cui ci sono le necessità e i bisogni di tutte le categorie coinvolte dalla presenza del lupo. La buona notizia è che in Italia stiamo andando nella direzione di uno stretto dialogo tra biologi e politici, in modo da definire piani di intervento sempre più descrittivi della realtà al suolo.

Nel libro descrivi un certo tipo di turismo di montagna, invasivo ed ad alta intensità di strutture, come una delle minacce alla sopravvivenza del lupo nel nuovo millennio. A quali criteri dovrebbe corrispondere un turismo davvero sostenibile? 

In Piemonte il turismo di montagna sia in inverno che in estate è in forte aumento, si organizzano escursioni ovunque. E cresce anche il turismo motivato dall’ambizione di intercettare un grande carnivoro. Questo funziona solo se gestito in modo eco-sostenibile, ovvero con particolare attenzione a non disturbare e impattare sulla specie. L’utilizzo totale del territorio innesca disquilibri. In Piemonte bisogna individuare bene le zone di riproduzione del lupo durante l’estate, le aree critiche dove i lupi fanno la tana per i cuccioli, stabilirvi un accesso limitato da giugno a dicembre, e non farci passare sentieri. Le tende e il campeggio libero hanno un impatto tremendo se sono troppo frequenti e distribuiti ovunque, la notte è l’unico momento in cui gli animali sono tranquilli; occorrono campeggi controllati. Ci vuole poi tanta consapevolezza e rispetto da parte del turista. Vedere un lupo è evento rarissimo; può darsi che mentre passeggi nel bosco lui sia sopra di te che ti guarda con un dislivello di soli 50 metri, e non senti assolutamente nulla. 

In Italia la prima causa di morte del lupo rimane purtroppo il bracconaggio.

Nel periodo 2010-2012 sono stati rinvenuti morti 21 lupi in Piemonte, ma potrebbero essere di più perché le carcasse sono molto difficili da recuperare, il ritrovamento è generalmente casuale. L’atto di bracconaggio più subdolo e spregevole contro il lupo è l’avvelenamento, perché non si limita ad uccidere il predatore, ha ricadute terribili su tutta la fauna selvatica, l’ecosistema e la catena alimentare. Qualche giorno fa nella Val di Lanzo sono stati ritrovati 4 grifoni avvelenati, indizio di un progetto criminale sicuramente non indirizzato direttamente a loro. I bracconieri oggi usano sostanze facilmente reperibili come i rodonticidi e gli anticoagulanti, ma in provincia di Cuneo uccidono anche con la stricnina e il cianuro, veleni proibiti in Italia e quindi immessi di contrabbando. Il boccone tossico è una minaccia anche per i turisti e i loro cani. Nel progetto LIFEWOLFALPS che io coordino prevediamo la costituzione da qui al 2018 di 2 squadre analoghe al Gruppo Antidoto del Gran Sasso che a Novembre saranno addestrate per setacciare due settori geografici, le Alpi Occidentali e le Alpi Orientali. Stiamo anche partendo con i corsi di formazione per operatori alpini dal Piemonte al Trentino che ci consentiranno entro giugno del 2015 di avere un censimento veramente completo e dettagliato dei lupi sull’intero arco alpino. Il backstage del lavoro di noi ricercatori è dar corso al suggerimento contenuto nel testo della Large Carnivore Initiative for Europe della IUCN. Il lupo non è una presenza causale o contingente dei boschi qui attorno, è al contrario parte irrinunciabile della nostra identità ecologica di europei. 



venerdì 16 settembre 2016

Nicolai Lilin, Educazione Siberiana

L’inverno sembrava non avere una fine, e il branco moriva di fame. Il capobranco, il più vecchio di tutti, procedeva in testa e rassicurava i giovani, dicendogli che presto sarebbe arrivata la primavera. Ma, a un certo punto, un giovane lupo decise di fermarsi. Disse che ne aveva abbastanza del freddo e della fame e che sarebbe andato a stare con gli uomini. Perché la cosa importante era di restare vivo. Così, il giovane, si fece catturare e col passare del tempo, dimenticò di essere mai stato un lupo. Un giorno, di molti anni dopo, mentre accompagnava il suo padrone a caccia, lui corse servile a raccogliere la preda. Ma, si rese conto che la preda era il vecchio capobranco. Divenne muto per la vergogna, ma il vecchio lupo parlò e gli disse così: “io muoio felice perché ho vissuto la mia vita da lupo, tu invece, non appartieni più al mondo dei lupi e non appartieni al mondo degli uomini”. La fame viene e scompare, ma la dignità, una volta persa, non torna mai più.

Nicolai Lilin, Educazione Siberiana

mercoledì 14 settembre 2016

Torniamo a vivere secondo natura alimentando fiducia e amore !

La burocrazia e le formalità che governano la nostra società alimentano la sfiducia nel nostro prossimo compromettendo qualsiasi rapporto di aggregazione. Questo è l'obiettivo di chi ci governa. Siamo sempre più macchine e sempre meno uomini. Torniamo a vivere secondo natura alimentando fiducia e amore !

WWF: per proteggere le greggi non serve abbattere i lupi

WWF: ABBATTERE I LUPI AUMENTA DANNI ALLE GREGGI
UNA RICERCA  SUL CONTROLLO DEI PREDATORI DIMOSTRA L’EFFICACIA DEI METODI NON CRUENTI.

L’abbattimento di predatori comporta nella metà dei casi un aumento dei danni a scapito degli animali domestici: lo dimostra una ricerca pubblicata  giovedì scorso nella rivista specialistica “Frontiers in Ecology and the Environment”. I risultati in caso di utilizzo di metodi non letali, come la protezione delle greggi, invece mostrano la loro efficacia : nell’80 % dei casi gli attacchi alle greggi sono diminuiti.

Purtroppo in molte parti del mondo è diffusa tra le autorità, i cacciatori e gli allevatori di animali domestici come soluzione ‘istintiva’ per evitare danni al bestiame quella più semplice, ovvero, abbattere i predatori, come orsi, lupi e grandi felini. I risultati dello studio dimostrano e confermano però che l’abbattimento è una ‘cura peggiore del male’. Il gruppo di ricerca internazionale ha analizzato sistematicamente i risultati e la validità di vari studi condotti sia in America che in Europa. I risultati rilevati in Africa e Asia confermano questi esiti.

Le considerazioni generali della ricerca non sono nuove, ma più evidenti che mai grazie all’ampio database internazionale. I metodi letali (come caccia, esche avvelenate o trappole) non risolvono i problemi degli allevatori ma al contrario aggravano i problemi esistenti. Solo nel 29% dei casi esaminati si ottiene una diminuzione temporanea degli attacchi al bestiame mentre nel 43% si nota invece un aumento dei danni in confronto degli animali domestici dopo l’abbattimento di un predatore. Nel caso si utilizzino metodi non letali (come l’uso di cani da guardia per le greggi, recinzioni elettriche o dissuasori come il nastro segnaletico) questi si sono rivelati invece efficaci e nell’80% dei casi esaminati i danni al bestiame sono diminuiti.

Per questo, sulla base dell’attuale stato delle conoscenze, gli scienziati consigliano alle autorità e alle persone competenti di non prendere più in considerazione l’abbattimenti dei predatori per proteggere gli animali domestici.

In Italia e in Svizzera sono in corso revisioni delle norme nazionali per concedere la possibilità di abbattere alcuni esemplari di lupi.

Gabor von Bethlenfalvy, esperto di grandi carnivori per il WWF Svizzero dice: «È preoccupante quanto la politica si faccia guidare dalle pressioni degli interessi dei singoli e quanta poca considerazione dedichi alle esperienze pratiche e agli studi. Si accettano i metodi cruenti dei diretti interessati ed addirittura si incoraggiano».

Il WWF ricorda anche che tutti i predatori che vivono nel territorio alpino, a cavallo tra i vari paesi, sono specie la cui popolazione è drasticamente minacciata e per questo qualunque soluzione ‘sperimentale’ è da scoraggiare, specialmente per il lupo. Ancora oggi la decimazione della popolazione tramite abbattimenti casuali è una prassi ed il grande pericolo di questi metodi è che vengano uccisi individui importanti per la struttura del branco o l’approvvigionamento di cibo. Il rischio di peggiorare la situazione invece di migliorarla è troppo grande.

Gabor von Bethlenfalvy dice a riguardo: «La migliore protezione del bestiame in una regione in cui sono presenti i lupi consiste nella protezione del gregge e nell’assicurare la struttura familiare stabile del branco»

Anche in Italia è in corso di revisione la politica di gestione del lupo. Il primo Piano di Azione nazionale è stato redatto nel 2002, ormai scaduto da tempo e sostanzialmente scarsamente applicato sul territorio. Il Ministero dell’Ambiente ha dato incarico all’Unione Zoologica Italiana di redigere una nuova versione del piano che prevede tra l’altro le modalità e le condizioni per concedere le deroghe al divieto di abbattimento. Il Lupo in Italia è oggi una specie protetta dalla Direttive comunitarie e dalla Legge nazionale sulla caccia.
Il WWF ha manifestato ripetutamente le motivazioni per cui l’abbattimento non è una soluzione per la gestione del lupo, consegnando direttamente al Ministro dell’Ambiente migliaia di firme. Attualmente il Piano deve essere ancora discusso nella Conferenza Stato-Regioni, ma ci sono concrete possibilità che si possa fare marcia indietro prendendo atto che attualmente non esistono le condizioni per concedere le deroghe.

Roma, 6 settembre 2016 

martedì 13 settembre 2016

Ululato

"Era una musica selvaggia e indomita, echeggiava tra le colline e riempiva le valli. Provai uno strano brivido lungo la schiena. Non era una sensazione di paura, capite, ma una specie di fremito, come se avessi dei peli sul dorso e qualcuno li stesse accarezzando..."

Alda Orton, Trapper dell’Alaska

I rapporti sociali dei lupi si esprimono attraverso tre sistemi di comunicazione tra i singoli membri e all’interno del branco: vocalizzazioni, segnalazioni posturali e impressione di marchi odorosi. L’ululato è forse l’aspetto sociale che più ci è familiare; consiste nella tipica emissione di una singola nota, che s’innalza all’inizio e si interrompe improvvisamente alla fine quando l’animale cerca di dare volume al latrato e può contenere fino a dodici armonici. Quando ululano in branco, i lupi armonizzano piuttosto che sintonizzarsi su una stessa nota, dando così l’impressione di essere più numerosi. L’emissione di ululati non avviene necessariamente in posizione eretta, i lupi possono infatti essere sdraiati o seduti su un fianco. Sono state espresse più ipotesi sulla natura e sulla funzione dell’ululato lupino che sul verso di qualsiasi altro animale. Si tratta di un suono pieno, accattivante, un’eco lamentosa e seducente capace di instillare soggezione e far accapponare la pelle. Sembra che la sua funzione sia di radunare il branco, soprattutto prima e dopo la caccia, di segnalare un allarme, in particolare se è la tana a essere minacciata, di individuarsi a vicenda nel mezzo di una tempesta o in un territorio sconosciuto, e di comunicare a grandi distanze. Nell’aria immobile dell’Artico, l’ululato può essere udito a dieci chilometri di distanza. Esistono pochi indizi sul fatto che i lupi ululino durante la caccia, mentre invece lo fanno dopo, forse per celebrare la riuscita della battuta (la presenza di cibo), il loro valore o la soddisfazione di ritrovarsi uniti senza aver subito lesioni. Non ci sono mai state prove a confortare la credenza secondo cui i lupi ululino alla luna o lo facciano più spesso nelle notti di plenilunio, malgrado possa avvenire con maggior frequenza di sera o il mattino presto. Questa attività raggiunge il suo picco stagionale nei mesi invernali, all’epoca del corteggiamento e dell’accoppiamento; è facile capire come mai l’idea dei lupi che ululano alla luna si sia potuta diffondere in questo modo e assumere una presenza talmente forte nell’immaginario umano durante le gelide e limpide notti artiche, quando il suono corre lontano e la luna avvolge di mistero il territorio innevato. Che cosa spinga un lupo a ululare rimane un mistero, sebbene ricerche sul campo e in laboratorio indichino che sia l’assolo sia il coro siano sollecitati da uno stato di irrequietezza e di ansia. La solitudine è lo stato d’animo citato con maggiore frequenza, ma l’ululato di gruppo possiede una qualità di celebrazione e cameratismo, ossia quello che il biologo della fauna selvatica Durward Allen ha chiamato “il giubilo dei lupi”.

lunedì 12 settembre 2016

L’attuale generazione di pastori

Perfino i pastori, che più di tutti vivono da sempre in simbiosi con l'ambiente, con il rarefarsi di alcune specie di animali predatori hanno dimenticato alcune norme di comportamento che permettevano loro di subire meno danni al bestiame.
L’attuale generazione di pastori non ha mai avuto esperienze dirette con i predatori con i quali convivevano i loro bisnonni. Anche loro, nell’arco di un paio di generazioni, hanno perso la memoria storica dell’autentico contatto con la natura. A causa della secolare persecuzione a cui sono stati sottoposti alcuni animali, come l’aquila, il lupo, la lince e l’orso, questi si sono quasi estinti. I pastori di un tempo sapevano come difendersi e convivere con questi predatori. Poi con l’invenzione delle armi da fuoco il problema è stato eliminato. Oggi, grazie alla protezione della legge, e a una diversa coscienza ecologica, questi animali stanno tornando sulle nostre montagne. Certo che se questo fatto è considerato da quasi tutti un ritrovato valore per il nostro ambiente, è giusto che eventuali predazioni, a carico di animali domestici, che gli allevatori non riescono a evitare, siano rimborsati dalla comunità. Sapere che su una certa montagna, nella segreta penombra della foresta vive e si muove furtivo il lupo,  è una cosa straordinaria anche se la possibilità di vederlo è davvero molto remota.

venerdì 9 settembre 2016

Il lupo è sempre sotto accusa, colpevole o meno che sia

Il sofista greco Zenobio (II sec. d.C.) scriveva: “Il lupo è sempre sotto accusa, colpevole o meno che sia”. Eppure il lupo è sempre stato un animale importante nella storia dell'uomo, fin dall'antichità protagonista di miti e leggende, e quasi sempre in duplice veste: ora a rappresentare valori positivi ora negativi, luce e ombra, ferocia e spirito di libertà.
Simbolo doppio. Dagli indiani d'America agli eschimesi, dagli scandinavi agli italici, le popolazioni nomadi, legate alla caccia, hanno sempre ammirato l'animale per la sua forza e la resistenza alla fatica, e per la straordinaria capacità predatoria quando agisce in branco. Il lupo è un’allegoria guerriera, il combattente scaltro e indomito. Quando però le popolazioni si fanno stanziali, fondandosi su agricoltura e allevamento, il predatore diventa il nemico che attacca il bestiame. E il simbolo si fa ambivalente: da ammirare e da temere.
Il terrore che il lupo incute è atavico e universale. L'animale della notte e delle foreste porta distruzione; la sua bocca dalla dentatura forte, atta a sbranare, sembra schiudersi su una specie di antro pauroso. Il lupo è infatti associato agli inferi in molte culture. Su alcuni vasi funerari etruschi esposti a Volterra, ad esempio, è raffigurato mentre si affaccia da una caverna che comunica con l'altro mondo, sorveglia dunque l'entrata del regno dei defunti. È una divinità infernale anche la Lupa Mormo dei greci mentre Ade, dio degli Inferi, porta un mantello di pelle di lupo, collegando ancora una volta il predatore al concetto di morte.
L'antro - raffigurato dalle fauci - è un elemento simbolico importante perché il passaggio attraverso il mondo del buio e delle ombre è necessario per giungere alla liberazione, alla luce iniziatica che deriva dal rapporto con la divinità. E così il portatore di morte - che ha però occhi luminosissimi - finisce con l'essere anche portatore di conoscenza. La mitologia greca spiega bene la natura doppia attribuita all'animale: quando incarna Ares, il lupo rappresenta il lato distruttore; quando raffigura Apollo quello solare.
La lupa capitolina. E non c'è forse una lupa all’origine della storia di Roma? la leggendaria lupa che allatta, salvandoli, Romolo e Remo. Non è certo un caso che il mito scelga per il ruolo di nutrice un animale che per natura alleva con dedizione la sua prole e che in molte culture è associato al concetto di fecondità oltre che a quello di rinascita.
I riti latini. Legata alla leggenda di Romolo e Remo - ma che si rifà a riti di origine arcaica - c’è poi una festa importante nel mondo romano: i lupercali (lupercalia in latino) che si celebravano il 15 febbraio in onore di Luperco, antico dio collegato al lupo sacro a Marte. La festa si svolgeva davanti al lupercale, cioè la grotta della lupa, sul lato sud ovest del Campidoglio, dove, all'ombra di un fico, il pastore Faustolo avrebbe trovato i due gemelli. La festa - che aveva per protagonisti giovani sacerdoti chiamati luperci - aveva sì lo scopo di tenere magicamente i lupi lontani dalle greggi, ma anche quello di propiziare la fertilità (i sacerdoti frustavano ritualmente la terra con strisce di pelle di capro perché desse un buon raccolto e in modo simile, colpivano il ventre delle donne). Già nel mondo romano però l'animale è anche simbolo d'ingordigia e di lussuria. Le lupe sono a Roma le prostitute (in riferimento anche alla loro avidità per il denaro) e il lupanare è il bordello.
Emblema del maligno. È però nel Medioevo che il predatore perde, almeno in parte, la sua connotazione doppia per assurgere unicamente a simbolo del male. A costruire nell'immaginario una sorta di mostro è anche il mondo cristiano che, fomentando l'odio verso i culti pagani - come i lupercali - e verso altre forme di religiosità - come quelle nordiche - trasforma l’animale delle foreste prima in strumento del demonio e poi nel demonio stesso (contrapponendolo all'agnello). Uccidere lupi diventa allora un atto di giustizia e un dovere, e le carcasse vanno esposte. Non solo: per quanto la cosa appaia ridicola, gli animali vengono sottoposti a veri processi e spesso condannati a morte. Si ha notizia anche di maledizioni delle “belve” a opera di prelati. In alcune società europee, poi, il lupo è assimilato alle streghe: le streghe cavalcano lupi per andare al sabba, hanno relazioni sessuali con i lupi, si trasformano in lupi. L’animale rappresenta ormai solo il maligno.
In questo contesto è particolarmente significativa la storia miracolosa legata a san Francesco che a mani nude affronta il “mostro” che terrorizza Gubbio e lo vince semplicemente con la parola. Ma in definitiva anche qui è il Bene che trionfa sul Male e lo trasforma.
Licantropi al rogo. Intanto proprio nel Medioevo arriva al suo apice la leggenda - antichissima - dei lupi mannari (e in questo modo si recupera l’aspetto del doppio, nel senso di uomo e animale). Le prime credenze sulle metamorfosi si trovano nelle saghe nordiche con i Berseker, i guerrieri consacrati a Odino, che in battaglia si trasformano in lupi, o con lo scandinavo Fenrir, figlio del dio vichingo Loki. Nel Medioevo contro i lupi mannari s’intentano molti processi che di solito si chiudono con condanne al rogo, col risultato che migliaia di innocenti muoiono bruciati. In epoca moderna il mito del licantropo, considerato vittima di una maledizione che lo costringe alla ferocia, viene ripreso dalla letteratura e dal cinema, spesso in chiave grottesca.
Poi per secoli il lupo è oggetto di una caccia spietata fino ad arrivare vicino all’estinzione nella prima metà del Novecento, a seguito di stragi autorizzate (le più devastanti negli Stati Uniti). Quasi scomparso anche in Italia, il predatore diventa infine oggetto di tutela negli anni '70. Eppure nell’immaginario non perde mai la sua aura terrificante veicolata soprattutto dalle favole (come non citare Cappuccetto rosso?) Così oggi, anche quando a fare strage di pecore sono cani inselvatichiti e ibridi - più pericolosi perché hanno meno paura dell’uomo - sotto accusa è sempre lui, il lupo cattivo, simbolo catalizzatore delle nostre paure.


La struttura sociale di un branco

La struttura sociale di un branco di lupi è importantissima. L’accoppiamento, la caccia e l’assunzione del cibo ne sono strettamente legate, così come il controllo del territorio e l’attività ludica. Le prove di cui disponiamo della capacità del lupo di insegnare ai piccoli le tecniche predatorie (e della capacità di questi ultimi di apprendere) inducono a pensare che anche in questa sfera la struttura sociale rivesta un ruolo primario. I lupetti allevati senza una struttura di branco si adattano molto poco alla vita in libertà. In generale, esistono tre strutture sociali separate: una gerarchia di maschi, una gerarchia di femmine e un’organizzazione sociale mista condizionata dalla stagione. E’ tipica la presenza di un maschio “alfa” o primario che domina sugli altri maschi e una femmina “alfa” che prevale sulle altre femmine. Si pensa che questa coppia alfa sia responsabile della riproduzione, benché esista un buon numero di casi sia in cattività che in libertà dove un maschio gerarchicamente subalterno si sia accoppiato con la femmina alfa, suscitando un apparente disinteresse del maschio alfa. Le femmine possono guidare il branco e influenzano sempre in modo significativo le sue attività. Ci troviamo spesso a pensare ad animali come il lupo che, in termini sociali umani, sembrano condividere con noi numerose caratteristiche. Ebbene, per quanto riguarda le femmine, che nelle società occidentali rivestono un ruolo ampiamente subordinato, l’analogia ritengo non regga. Le femmine di lupo non solo possono guidare il branco, ma addirittura sopravvivere a una successione di maschi alfa. Sono le femmine, inoltre, a decidere dove collocare la tana e quindi il territorio in cui il branco dovrà cacciare per cinque o sei settimane. Le femmine giovani sono forse leggermente più veloci dei coetanei maschi e quindi, in alcune circostanze, sono cacciatrici migliori.

Il termine “alfa” però, sviluppato per descrivere animali in cattività, è fuorviante. Gli animali alfa non sempre guidano la caccia, aprono una pista nella neve o mangiano prima degli altri. Un esemplare alfa potrebbe essere tale solo in determinati periodi per una ragione specifica e, va detto, lo è per servire gli altri componenti del branco.

Il lupo è un animale sociale, la sua sopravvivenza dipende dalla cooperazione, non dalla lotta. Gli esseri umani, soprattutto negli ultimi anni, si sono abituati a parlare di “élite dominanti” in ambito lavorativo e altrove, e hanno acriticamente ritenuto che i branchi di lupi si conformassero ai propri schemi mentali. La struttura sociale di un branco di lupi è dinamica, quindi soggetta a cambiamenti, in particolare nella stagione degli amori, e potrebbe capovolgersi in altri frangenti, come nel gioco. La sua presenza è importante durante l’accoppiamento, l’assunzione di cibo, gli spostamenti e il mantenimento del territorio, e sembra avere uno scopo quando i lupi si radunano per rassicurarsi a vicenda degli aspetti positivi del loro stile di vita così come si riflette nell’ordine sociale, in grado di accrescere le possibilità di sopravvivenza attraverso la caccia di gruppo e il controllo naturale della popolazione. Tuttavia, caricare di un’enfasi eccessiva questi presunti aspetti comportamentali come “intimidazione”, “autoritarismo” e giochi di crudeltà psicologica basati su strutture sociali, vuol dire semplicemente confondere gli strumenti di analisi umana con il vero comportamento dei lupi.

Un altro fattore da prendere in considerazione è che i branchi di lupi, come del resto i singoli esemplari, possiedono personalità specifiche. Un branco potrebbe comprendere elementi autoritari, petulanti o persino idioti, e il carattere di alcuni componenti potrebbe rendere l’organizzazione del branco più prussiano o austero di un altro. Ciò assodato, potremmo definire la seguente come una struttura di branco “tipica”: un maschio e una femmina alfa al vertice, magari di quattro o cinque anni; nel mezzo, maschi e femmine subordinati, alcuni sessualmente maturi, i dominanti dei quali sono chiamati animali “beta”; infine, i cuccioli. Componenti subordinati di entrambi i sessi mostrano deferenza agli alfa. I subalterni dello stesso sesso stabiliscono un loro ordine, solitamente con gli elementi di un anno al fondo e uno di due o tre anni in cima. Anche i cuccioli obbediscono a un proprio ordine sociale, indipendente dal sesso.

il marchio “TERRE di LUPI”

Facciamo del lupo uno strumento di promozione del territorio !

Porto a modello l’iniziativa di un gruppo di produttori caseari della Valle Gesso, in provincia di Cuneo, i quali hanno coniato il marchio “TERRE di LUPI”

La linea wolf friendly TERREdiLUPI nasce per promuovere prodotti e produttori che lavorano in un territorio alpino di presenza stabile del lupo o in una zona di nuova ricolonizzazione. L’idea è semplice: fare della coesistenza con il famoso grande carnivoro uno strumento di promozione del territorio e dei prodotti locali un veicolo di comunicazione della coesistenza possibile.

giovedì 8 settembre 2016

VERONASERA e TELEARENA - 08.09.2016

Gli allevatori, invece di ritirare il bestiame nelle stalle la sera, minacciano di difendersi da soli. Ingiustificata anche la preoccupazione degli operatori turistici che all'opposto ne traggono solo vantaggio. Impariamo a fare della coesistenza con il lupo uno strumento di promozione del territorio !

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da VERONASERA 08 Settembre 2016:

Lupi in Lessinia, allevatori esasperati. "Cittadini pronti a difendersi da soli".

Il consigliere regionale Stefano Valdegamberi fotografa una situazione preoccupante con gli operatori economici che potrebbero autotutelarsi dagli attacchi.

"La pastorizia e l'allevamento in Lessinia non possono morire per colpa della scellerata introduzione dei lupi. La strage in atto in questi giorni sta facendo esasperare la popolazione e sta demotivando i giovani che hanno creduto ed investito in questo territorio. E anche gli operatori turistici sono preoccupati".
Il consigliere regionale Stefano Valdegamberi ha paura che l'esasperazione degli operatori economici sfoci in episodi di autodifesa contro gli animali selvatici che sono stati reintrodotti in Lessinia, che si riproducono, ma creano anche problemi agli allevatori. Come nel caso di un allevatore di Velo Veronese, i cui animali sono stati attaccati dai lupi quattro volte in un mese e mezzo. Per protesta, ha esposto l'ultimo dei suoi animali ucciso dai lupi nella piazza del comune. Un atto plateale a simboleggiare un sentimento diffuso e condiviso anche dai sindaci del territorio, preoccupati anche perché alcuni attacchi dei lupi si sono verificati non lontanti dai centri abitati. Per questo Stefano Valdegamberi ha chiesto che nel piano nazionale di gestione e conservazione del lupo, in discussione a Roma, venga concessa una deroga alla Lessinia.
"Se non è possibile eliminarlo del tutto, occorre quantomeno contenerne numericamente la presenza - scrive Valdegamberi - Se non lo farà lo Stato lo faranno i cittadini. Quando lo Stato viene percepito come nemico la gente, esasperata, procede da sola a salvaguardarsi, secondo i metodi della tradizione. Un tempo chi ammazzava il lupo o la volpe riceveva un premio dalla comunità locale. Non vorrei si arrivasse a ciò ma le premesse ci sono tutte. Quando manca il buon senso nelle norme e di chi le applica la gente si autotutela".

Lupi in Lessinia, allevatori esasperati. "Cittadini pronti a difendersi da soli"

Video TeleArena TG 08 Settembre 2016:

Cucciolate

I cuccioli vengono alla luce sessantatré giorni dopo il concepimento, in genere in una tana scavata appositamente, un rifugio coperto da grossi tronchi, un argine, una cavità naturale all’interno di formazioni rocciose o una grotta. La cucciolata è solitamente composta da quattro a sei esemplari, anche se sono state registrate gravidanze singole o di tredici cuccioli. I piccoli alla nascita sono ciechi e sordi, solo dopo pochi giorni acquistano l’udito e dagli undici ai quindici giorni aprono gli occhi; lo svezzamento avviene alla quinta settimana, quando hanno già imparato e giocare all’ingresso della tana. Le orecchie flosce cominciano a rimanere erette intorno alla quarta settimana e nello stesso periodo si possono udire i primi ululati, quei suoni improvvisi da cui essi stessi sono spesso allarmati. La costituzione di una gerarchia interna alla cucciolata è visibile all’incirca alla sesta settimana, sebbene abbia a variare più volte nel corso dei mesi a seguire. Gran parte dei cuccioli morirà. Per svariate ragioni il tasso di mortalità arriva al 60%. I piccoli esigono fino a tre volte la quantità di proteine per unità di peso rispetto agli adulti, e la disponibilità di cibo potrebbe essere scarsa. A volte si feriscono a vicenda durante le lotte interne e un genitore potrebbe ucciderne (e mangiare) uno gravemente offeso. A resto pensano le malattie quali cimurro e listeriosi e, in caso di cattive condizioni atmosferiche, polmoniti e ipotermie. Un lupetto che manifestasse un qualsiasi comportamento anomalo, come quello epilettico, verrebbe soppresso dagli adulti. Infine occasionalmente capita che siano un’aquila, o un altro animale a portare la morte. Le dimensioni di una figliata sono proporzionate alla disponibilità di selvaggina e alla densità lupina in una determinata area: maggiore è il numero di lupi, più piccola sarà la cucciolata. La nascita dei cuccioli, come la scelta di chi è destinato alla riproduzione, dipende dall’organizzazione sociale del branco. Un branco potrebbe addirittura subire la pressione di un branco limitrofo con numerosi piccoli nati l’anno precedente e non procreare del tutto. E’ possibile che sia il sistema endocrino responsabile di tali condizionamenti, rispondendo in qualche modo agli stress insiti nell’ambiente dell’animale (quanto spesso vede i membri di un altro branco, quanto tempo passa tra le sue prede), in modo da controllare l’accoppiamento e il numero dei nati. L’aspetto interessante è che a volte la mancata riproduzione, magari durante un periodo di carestia, accresce le probabilità di sopravvivenza del gruppo. Quando i piccoli raggiungono un’età compresa tra i cinque e i dieci mesi, il tasso di mortalità si è ormai ridotto a circa il 45%. Allorché arrivano alla maturità sessuale (di solito a due anni per le femmine e a volte non prima del terzo anno per i maschi), possono contare su un tasso di sopravvivenza dell’80%. Non esiste animale che predi abitualmente il lupo e questo, in libertà, può vivere sino a otto o nove anni e, in casi eccezionali, fino a tredici o quattordici.

mercoledì 7 settembre 2016

IV° riproduzione della coppia di lupi della Lessinia

Video cucciolo Lessinia 2016:

L’ambiente della Lessinia

L’ambiente della Lessinia è particolarmente favorevole per la presenza di ungulati, in particolare caprioli, cervi, e – a maggior quota – camosci. Negli ultimi 10 anni il cinghiale si sta espandendo in modo allarmante. L’alta densità e la varietà di ungulati, così come la capacità ambientale generale, hanno facilitato il ritorno naturale di specie a lungo scomparse nella regione, come l’orso (Ursus arctos) e il lupo (Canis lupus lupus), aumentando ulteriormente il grado di biodiversità dell’area.

Foto di Marco Iacuzzi


Il ritorno del lupo in Lessinia

Nei primi mesi del 2012 un evento di eccezionale interesse naturalistico si è verificato in Lessinia. A seguito di dispersione naturale, si è verificato l’incontro e la stabilizzazione di due lupi appartenenti a popolazioni differenti: un maschio di nome Slavc appartenente alla popolazione dinarica in dispersione dalla Slovenia, monitorato con radiocollare nell’ambito del progetto europeo “Life SloWolf”, e una femmina appartenente alla popolazione italiana. La presenza di questi due lupi in Lessinia è di straordinario interesse scientifico ed è il primo caso – dopo la scomparsa del lupo sulle Alpi - che una coppia della specie si sia formata con individui appartenenti a due popolazioni diverse: quella dinarica e quella italiana. Il lupo era presente sulle Alpi fino alla fine del 19 ° secolo e, più sporadicamente, fino ai primi decenni del XX secolo.
In Veneto gli ultimi avvistamenti di lupo risalgono al 1931 nella zona di Belluno (Fossa, 1988), mentre in Lessinia la specie sembra essere scomparsa nella prima metà del 1800 (Garbini, 1898) , con sporadiche presenze isolate registrate nel 1880 (Benetti , 2003). Il lupo in Lessinia è storicamente legato alle tradizioni socio-culturali della popolazione cimbra, come attestato da toponimi, favole, leggende, proverbi e modi di dire dedicati a questo animale. La presenza del lupo in Lessinia migliora ulteriormente la biodiversità della zona, confermando il ruolo dell’area di riserva privilegiata di preziose risorse naturali.


Intervista a Fulvio Valbusa: un campione olimpico sulle tracce dei lupi della Lessinia: